lunedì 28 marzo 2011

Le bianche nuvole di Kabul - Capitolo 2

E la vita ricominciò a strisciare lentamente, seguendo il monotono ticchettare di un orologio che scandiva secondi lunghi quanto ore.
Partisti, ma per Milano e io rimasi sola, sola in mezzo alla follia, sola in balia di quel mondo inspiegabile e di me stessa. E rimanere sola con me stessa era la cosa che faceva più paura.
Era difficile accettare una realtà come quella che avevamo vissuto insieme, ma era ancora più difficile andare avanti in quella realtà senza la tua guida, il tuo consiglio, la tua presenza. Cosa rimaneva di te? Ricordi, solo ricordi. E il cuore di ambra che mi regalasti.
Lo strinsi con una mano per un momento, poi tolsi il ciondolo e rimasi a guardarlo alla luce del sole. I suoi riflessi dai toni caldi creavano giochi di luce sulle mie mani e sulle mie braccia. I colori che emanava ricordavano quelli della terra, del calore, dei tuoi occhi.
Sospirai e scossi la testa. A cosa servivano ora tutti quei ricordi? Quelle sciocche nostalgie da ragazzina innamorata? Ero una donna ormai, e tutto quello che era successo non sarebbe tornato. Alzai di nuovo lo sguardo e cercai di distrarmi concentrandomi sulle persone che vedevo passare all’interno del cimitero.
Donne anziane, un signore che camminava lento portando una rosa bianca, una donna più giovane che teneva per mano una bella bambina dai lunghi capelli rossi. Sorrisi a quella vista. Come erano buffi quei capelli rossi. Perché erano buffi? Non riuscii a spiegarmelo, ma continuai a sorridere.
Le seguii un momento con lo sguardo. La donna aveva la mia età, anno più anno meno. La bambina era attorno ai dieci anni. Stringeva qualcosa in mano, ma non riuscivo a vedere cosa fosse. Uscirono dalla mia vista e io portai il mio sguardo al cielo. Le nuvole viaggiavano leggere ed impercettibili. Proprio come quando… Oh, insomma. Era ora di smetterla con la nostalgia e i sospiri. Non ci avevo pensato durante quegli anni, perché proprio ora?
Mi alzai dalla panchina e iniziai a camminare lentamente attraverso il cimitero, osservando nomi e volti, immaginandomi le loro storie, il loro carattere. C’erano foto che mi facevano sorridere. Sorridevo di rimando a quei sorrisi tanto naturali e spontanei. Sistemai un vaso di fiori rovesciato e mi incamminai verso l’uscita.
Vidi di nuovo la donna e la bambina, mentre si avvicinavano all’uscita. I capelli della piccola ondeggiavano sulle sue spalle e quando un ciuffo le andò davanti agli occhi lo spostò con un gesto familiare. Un gesto familiare. I capelli rossi. Anche lui aveva i capelli tendenti al rosso. Un dubbio iniziò a farsi largo nella mia testa.
E se…
No. Impossibile.
Lui viveva con la famiglia a Milano. Cosa ci farebbe quella bambina qui a Roma?
Troppe coincidenze, troppe sciocchezze partorite da una mente che ha voglia di sognare. Però…
Ero rimasta con dubbi per dieci anni, un altro non lo avrei sopportato. Un momento.
La bambina ha circa dieci anni!
No, basta. La devo smettere di correre così con l’immaginazione. Non ha senso, non ha il minimo senso.
E proprio perché non aveva senso iniziai a seguire quelle due figure.

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