martedì 1 marzo 2011

Corrispondenze - Incipit

Il paesaggio scorreva veloce dal finestrino. Gli alberi, i fiumi, i campi… sembravano solo colori sfocati che un momento passavano davanti agli occhi e quello dopo erano scomparsi. Un gregge di pecore stava brulicando docilmente su un prato illuminato dal caldo sole di un pomeriggio primaverile, e un secondo dopo la scena si spostava sul fiume che costeggiava il luogo di riposo delle pecore. Un altro istante, e distese infinite di coltivazioni facevano la loro comparsa.

Il treno rallentò piano e si fermò, nonostante non ci fossero stazioni all’orizzonte: “Ecco gli inconvenienti di un treno charter…” pensò Alexander, mentre si appoggiava contro il finestrino e sospirava. Quel viaggio sembrava infinito, nonostante fosse partito solo da dieci minuti. Sapeva che davanti a sé mancavano altre diciotto, interminabili ore di colori, ma era felice di quella sua scelta.

Per fortuna, aveva con sé tutto l’occorrente per far passare quel tempo indefinito: penna, parole crociate e il suo mistico diario: un vecchio quadernetto scolorito dalla pioggia, ma che conteneva ciò che aveva di più caro. Tutti i suoi appunti, i suoi scritti, le sue memorie create dalla sua immaginazione “vivevano” lì.

Alexander distolse un attimo lo sguardo dai colori che stavano tornando, poco a poco, ad essere sempre più sfocati: il treno aveva ripreso velocità. Guardò la cuccetta in cui era e dove avrebbe dormito per quella notte: piccola, quasi claustrofobica, ma, per lui, accogliente. Era da solo, per sua fortuna: non avrebbe potuto sopportare la conversazione forzata che l’usanza imponeva in situazioni del genere.

All’improvviso pensò di avere un’ispirazione lampante. Immagini si facevano sempre più definite… una donna... la pioggia… una fermata d’autobus…

Prese velocemente il quaderno, quasi quanto un pittore che volesse imprimere sulla tela la figura che aveva stampata in mente. Iniziò a scrivere le prime righe: “Mi sto iniziando a chiedere perché sono venuta qui. Ormai sono due ore che sono ferma sotto questa pioggia torrenziale, bloccata ad una fermata del tram senza ombrello.

Non mi ricordo nemmeno più il motivo per cui…”

Si fermò di colpo. Cosa ci faceva lì? Perché era lì? Le domande del genere cercava sempre di evitarle, in quanto avrebbero fatto sparire l’immagine che si era creato. E come puntualmente accadeva, la figura di donna bagnata da capo a piedi sparì, senza che Alexander avesse la possibilità di fotografarla per poter riprendere il racconto. Chiuse con rabbia il quadernetto, lasciando dentro la biro. Perché ogni volta che pensava di avere l’intuizione giusta per un racconto, questa gli scivolava via dalle dita?

Appoggiò il suo scrigno fatto di carta nel sedile accanto al suo e tornò a guardare i colori che si alternavano: ora era tutto leggermente più rosso: segno di un tramonto vicino. Il treno affiancò un’autostrada che Alexander non seppe identificare e iniziò a vedere le macchine che cercavano di andare alla stessa velocità del treno, senza riuscirci. Focalizzò l’attenzione sulla sua immagine riflessa nel finestrino: si sistemò la camicia portata sotto un maglione nero, due capi d’abbigliamento forse fin troppo eleganti ma che lui metteva tutte le volte che poteva. Il suo volto approvò quell’azione.

Era ancora assorto da più pensieri, quali “Come continuo quella storia?” e “Perché non riesco più a farne una giusta?”, mentre sentì dei rumori da fuori. Senza distogliere lo sguardo dal paesaggio non molto ispirante di un’importante strada asfaltata, aguzzò l’udito per cercare di capire a cosa fossero dovuti quel vociare. Sentì un paio di “Scusi” e un “Figuratevi” in risposta a questi, ma non capì il contesto. Le voci si fecero più vicine, fino a essere sulla soglia della sua cabina. La porta si aprì e dietro ad essa fecero capolino due ragazze, sulla ventina, che guardarono Alexander.

-Chiedo scusa, è questa la cabina numero quattro?- chiese la ragazza che aveva aperto la porta. Alexander rimase colpito dagli occhi della ragazza: azzurri quasi come un cielo limpido. -Sì, è questa. Posso aiutarvi?-

-Oh, finalmente! Sa, abbiamo sbagliato vagone e quindi abbiamo impiegato un po’ di tempo per trovare i posti giusti…- la ragazza entrò nella cabina trascinando un trolley, seguita dall’altra compagna di viaggio che fece lo stesso. Le ragazze sistemarono subito i bagagli in alto e si sedettero sui posti opposti a quelli occupati da Alexander. Il giovane, pur dispiaciuto per la sua tanto amata solitudine che ormai non era più tale, tese la mano e si presentò, almeno per essere educato: -Mi chiamo Alexander.-

La ragazza dagli occhi di ghiaccio gli prese la mano: -Deborah-

La sua amica si presentò allo stesso modo: -Elen-.

Alexander prese il suo quadernetto e lo riaprì alla pagina segnata dalla biro: sapeva che quel racconto sarebbe morto prima di nascere, quindi cancellò le poche parole scritte con una riga, quindi chiuse di nuovo le pagine e rimise a posto il suo amato diario.

Guardò prima Deborah, poi Elen. Sebbene condividessero il colore biondo dei capelli, si assomigliavano poco. Eppure… eppure già immaginava quell’interminabile viaggio come qualcosa che sarebbe finito presto.

Troppo presto

3 commenti:

  1. Io non so se qualcuno di voi avra' la fortuna di vedere pubblicato un suo libro... o se i vostri scritti vedranno mai l'ambita "prima edizione" cartacea. Di sicuro l'incipit "vola" come i prologhi dei romanzi di M.Z.B. (sono sicuro che almeno uno di voi conosce molto bene questa scrittrice) Continuate cosi'.

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  2. Grazie Waspi. Sono sicura che non resterai delusa dal seguito... :-)

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  3. grazie a te e a tutti voi. Deluso? Come potrei esserlo?

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