Quella musica aveva avuto uno strano potere su di lei. A volte le canzoni mettono in testa strane idee e così era stato. Aveva passato l’intera giornata a scrivere e a piangere. Aveva riempito un mucchio di pagine di diario. Era una sua peculiare caratteristica quella di passare le ore con la testa dentro pagine bianche a riempirle di lacrime e inchiostro. C’erano alcuni momenti in cui il dolore dentro era troppo forte, misto alla rabbia ed alla voglia di scappare. Allora si rinchiudeva in camera, accendeva lo stereo, infilava le cuffie e non c’era per nessuno. I suoi si erano abituati e non la cercavano. Le amiche, beh quelle non la cercavano molto di già... le chiamava “amiche” soltanto per fare piacere a sua madre e per fingere di non essere proprio sola.
Ma la sera prima era stata una sera speciale e aveva voluto commemorarla tra quelle pagine, che in fondo erano le sue vere compagne, quelle dove poteva piangere, ridere, urlare senza sentirsi giudicata, senza che i suoi sentimenti fossero profanati da cuori indegni.
Prima di andare a dormire aveva preparato lo zaino e lo aveva nascosto sotto il suo letto: aveva messo dentro il suo pigiama preferito, qualche pile, due jeans e due paia di scarpe. Il suo diario, ovviamente, con penne e colori. Non era più gonfio del solito. Non era più pesante di tutte le mattine quando usciva per andare a mare. I suoi non se ne sarebbero accorti. Non si accorgevano mai di lei. Era trasparente come un vetro e la gente la percepiva solo quando faceva cose eclatanti. Sì, come tagliarsi le sue trecce!
Il giorno dopo si era alzata alle otto, come al solito. Aveva fatto colazione, come al solito. Diversamente dal solito aveva preso qualche merendina e l’aveva messa nello zaino. Diversamente dal solito aveva rubato dei soldi nel portafoglio di sua madre. Cinquantamila lire. Così per cominciare. Aveva urlato “Ciao” ai muri, che le avevano risposto “Buona giornata, tesoro” come al solito.
Ma non era la solita giornata. Non per lei almeno. Dentro era l’inizio di un’avventura che Alice voleva rendere indimenticabile. Quel giorno non sarebbe andata al mare. Non sarebbe tornata a casa per le quattro. Non avrebbe fatto il suo sonnellino. Non sarebbe stata a casa ad accogliere sua madre che rientrava dal lavoro. Uscendo si mise istintivamente la mano in tasca per controllare di avere il portafogli ed il biglietto. Si soffermò un attimo sulla porta, come se volesse che qualcuno la fermasse e la implorasse di non andare via. Ma non successe nulla e così si tirò dietro i battenti, mentre tirava su con il naso e mandava giù un grosso groppo alla gola. Aveva già pianto abbastanza e ne era anche stufa oramai.
L’aria fresca della mattina la scosse da quella stretta al cuore. Alzò gli occhi e vide la scia bianca di un aereo sopra di lei che formava delle strane figure passando tra le nuvole. Le scappò un sorriso al pensiero che quello fosse davvero il primo giorno della sua nuova vita. Si passò la mano sui capelli, lì dove non sentiva più le trecce scenderle giù sulle spalle. Aveva pianto tanto per quel gesto, ma sapeva che era stato il saluto propiziatorio all’adulta che percepiva a tratti dentro di sé. Non provava nulla per ciò che si stava lasciando alle spalle. Forse per effetto della rabbia per quei due genitori che non erano mai stati particolarmente presenti nella sua vita e che quando ci avevano provato avevano provocato dei disastri peggiori.
Si incamminò con il sorriso sempre stampato sulle labbra, stretta nel suo giubbetto di jeans, con le mani in tasca e lo zaino sulle spalle. Aveva già nei suoi occhi il mare. Già si figurava il lungomare, l’aria salmastra e magari gli occhi neri di un ragazzo dentro i suoi. Ma a questo non ci voleva ancora pensare, era presto e non era detto che ne trovasse uno così facilmente.
In metro si era accasciata su un sedile libero ed aveva chiuso gli occhi. L’aria ferrosa che si insinuava dai finestrini aperti per mitigare l’inferno delle carrozze le pungeva le narici e le sparava in bocca un sapore metallico come quello del sangue. Dormicchiò finchè non giunse in Stazione Centrale e lì scese. Salì lentamente le scale di marmo, guardando la gente intorno a lei come una sposa che camminando verso l’altare si gira intorno a salutare, banco dopo banco, parenti e amici e sorride loro dall’alto della sua felicità. Si fermò a guardare il cartellone degli orari. Binario 19. Milano-Napoli. Vagò sul marciapiede e si arrestò alla carrozza diciassette. Si guardò prima a sinistra e poi a destra, quasi a volersi assicurare che non ci fosse nessuno lì a fermarla e quindi salì, si portò nello scompartimento scritto sul biglietto e si sedette al posto assegnato.
Tirò fuori il suo mangiacassette con le cuffie e attaccò a sentire musica. Ancora De Gregori. Ancora Renoir. “Gli aerei stanno al cielo, come le navi al mare
come il sole all'orizzonte la sera, come vero che non voglio tornare
a una stanza vuota e tranquilla dove aspetto un amore lontano
e mi pettino i pensieri col bicchiere nella mano”.
come il sole all'orizzonte la sera, come vero che non voglio tornare
a una stanza vuota e tranquilla dove aspetto un amore lontano
e mi pettino i pensieri col bicchiere nella mano”.
Canticchiava e pensava: “non voglio tornare, no...”
E dal prossimo capitolo, Alice avrà quello che tutti abbiamo desiderato almeno una volta nella vita: la possibilità che una storia si svolga diversamente ... Sliding doors...
Adesso sono un bel po' curioso!!!!!
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