mercoledì 27 ottobre 2010

Alice - Capitolo 3

Quasi nello stesso momento Carlo aveva preso la decisione più importante della sua vita.
Quel giorno di luglio compiva i suoi quaranta anni, e mai come allora se ne sentiva tutto il peso sulle spalle.
Aveva iniziato a lavorare molto presto, appena terminata la scuola professionale: nei primi tempi le cose per lui erano andate molto bene, era diventato presto uno dei tornitori più bravi in una piccola officina dell'hinterland milanese, e il suo titolare, un vecchio milanesone che ancora parlava per lo più in dialetto ed allentava vigorose pacche sulle spalle agli operai, aveva molta stima e fiducia in lui. Alle gratificazioni economiche avevano subito fatto seguito anche quelle sentimentali: la giovane segretaria dell'amministrazione clienti aveva iniziato ad uscire con lui, ed in breve le cose erano convolate a giuste nozze.
Magari un po' troppo in fretta per i suoi gusti, ma d'altronde quel pancione reclamava un padre, oltre che una inevitabile madre.
Dopo la nascita di loro figlia, la loro unica figlia, qualcosa per Carlo cambiò: piano piano la giovane segretaria e la tenera amante si trasformò in una donna trascurata e lagnosa, abbruttita dal lavoro in ufficio di giorno e in casa la sera, delusa dalla vita e stremata per le cure le continue attenzioni che la loro piccola figlia reclamava da lei.
Incapace di far fronte a tutte queste difficoltà, la donna aveva iniziato a scivolare pian piano nell'alcool e nella depressione, e di questo dava – ovviamente - la colpa principalmente a lui.
E Carlo aveva intensificato le sue ore all'officina, sperando di riuscire a risolvere i problemi della sua giovane famiglia guadagnando più soldi e consentendo a sua moglie di restare a casa dal lavoro. Inutilmente, perchè la donna non volle mai perdere la sua attività, ma si limitò a lasciare il posto all'officina per trovarne una serie infinita d'altri, nei settori più disparati.
Intanto anche sul lavoro i tempi cambiavano: al vecchio titolare – stroncato da un infarto – erano subentrati i due figli, che dell'officina capivano poco o niente, ma che si piccavano di non voler credere a quell'evidenza. In breve giovanissimi neodiplomati vennero inseriti in azienda assumendo ruoli sopra di Carlo; però l'inesperienza della proprietà e dei nuovi 'capireparto' in breve condussero la ditta al fallimento, ed anche Carlo perse  il suo buon posto di lavoro.
Era successo proprio cinque anni prima, il giorno del decimo compleanno di loro figlia: lui e sua moglie erano disperati, e contemporaneamente dovevano festeggiare la piccola senza che nulla trapelasse...
Da allora nulla era stato più come prima, tra lui e sua moglie Gabri: ogni piccola cosa era motivo di feroci litigate, anche in presenza della figlia, e Carlo pian piano prese a disprezzare sua moglie, la loro casa, la loro vita, loro figlia...
No, non era vero: Alice no! (Carlo scosse la testa, quasi a scacciare quell'idea) Alice era semmai la vittima ignara di tutta quella serie di circostanze sfortunate che era stata la loro famiglia. 
Anche la sera prima, quando si era presentata a tavola con le trecce tagliate, quelle stesse fantastiche trecce che Carlo amava nel suo cuore, lui non era riuscito a dirle niente. Si era dovuto voltare dall'altra parte, per non mostrare qualche lacrima mentre quella sciagurata di sua moglie, invece di cercare di capire perchè una ragazza di quindici anni si era tagliata i capelli, le si era avventata contro, sbraitandole addosso la sua rabbia...
Basta! In quel momento aveva capito che lui doveva fare qualcosa.
La sua vita stava franando in un baratro senza che se ne potesse vedere il fondo, e Carlo aveva pensato di farla finita.
Non vedere più quella casa, quella camera da letto, quel volto sempre arrabbiato di Gabri...
Sarebbe stata una liberazione, per lui e per tutti: loro avrebbero incassato l'assicurazione sulla vita, e forse si sarebbero potute permettere di vivere un po' meglio. Senza di lui.
L'unica cosa che gli dispiaceva in questo finale a sorpresa era che non avrebbe visto più nemmeno Alice. La sua Alice. Non era mia riuscito a farle capire quanto veramente l'amasse, quanto veramente lei fosse importante per lui. Quando aveva perso il lavoro, aveva accettato qualsiasi incarico, anche il più meschino, affinchè in casa non mancasse mai il denaro necessario: doppi turni, doppi lavori, qualunque cosa per Alice. Ma lei sembrava non essersene mai accorta, mai...
Si specchiò nei vetri sporchi del treno: il tempo era passato anche per lui. I suoi bei capelli scuri e mossi erano diventati pochi, brizzolati e presenti solo sopra le orecchie e sulla nuca, lasciando scoperta una fronte eccessivamente ampia e ormai perennemente abbronzata. Anche sotto il mento una lieve pinguedine si faceva strada, creando una borsa adiposa sotto la barba sfatta. Gli occhi avevano rughe d'espressione che gli attribuivano dieci anni di più, e le borse sotto gli occhi sfiduciati confermavano in lui quella sensazione.
“Nemmeno io mi voglio più bene: che ci sto a fare qui?” pensò, stringendosi nelle spalle incurvate.
Guardò la porta del treno per Napoli: tra poco sarebbe partito.
Il suo piano era semplice: nel tratto appena fuori Milano, quando il treno avesse preso sufficiente velocità, si sarebbe lasciato cadere tra i vagoni, sui binari, ed il treno avrebbe fatto tutto il resto, assicurando un cospicuo lascito assicurativo in denaro alla sua Alice.
Un momento di coraggio, un supremo momento di volontà, e poi tutto sarebbe andato a posto...
Prese una Rothmans, strofinò con un gesto consumato lo Zippo sui pantaloni e si accese la sigaretta, aspirandone una profonda boccata: chissà se anche in paradiso si fumavano le Rothmans? Mah...
Alzò lo sguardo, a seguire la piccola nuvola di fumo che saliva verso il cielo: la volta della stazione era annerita dal fumo e dallo smog, ma le travi ricurve ospitavano comunque piccioni sciamanti, quasi obbedienti ad un comando comune: a lui piacevano 'i piviùn'. Gli ricordavano i rari giorni felici passati con Gabri e con Alice, 'dinanz al Dòmm', quando la bambina aveva appena iniziato a camminare. La ricordava ancora adesso, con quel suo cappottino rosso, un musino furbo e incorniciato già da quella magnifiche trecce nere, lo sguardo affascinato da quegli animali che corricchiavano sgraziati; e la gioia nei suoi piccoli occhietti mentre li rincorreva facendoli volare via; e la paura mentre ritornava di corsa verso di lui quando gli uccelli tornavano insieme a posarsi per terra a becchettare di nuovo i piccoli semi di mais...
Gli scese una lacrima, e non sapeva se dovesse attribuirla al ricordo di Alice, quando lui la teneva stretta in braccio, o di uno sbuffo di fumo che gli era entrato nell'occhio.
Fece una ultima lunga boccata, poi la gettò via, sotto il treno.
“L'ultimo desiderio, prima di morire...” pensò “Vuole una sigaretta? Ecco, gliela accendo...”
E così Carlo aprì la porta del vagone, salì sul treno e si sedette nel primo scompartimento di seconda classe che trovò libero, sperando di restare da solo fino al gran momento...
Che strano: aveva pochissimi ricordi di Alice. Questa constatazione gli fece un po' male al cuore: avrebbe voluto salutarla quella mattina, dirle addio ed abbracciarla per l'ultima volta, ma non ne aveva avuto il coraggio...
Un nuovo groppo gli salì in gola, e si appoggiò con il capo al finestrino. Che strano: adorava sua figlia, in quegli ultimi quindici anni aveva fatto ogni cosa per lei, perchè stesse bene, perchè potesse vivere una vita felice senza che le mancasse niente, fino a decidere quell'azione coraggiosa e definitiva, e quella mattina nemmeno era riuscito a dirle che lei era la cosa più bella che gli era capitata nella vita...
Una lacrima gli stava scivolando sulla guancia: ora gli sembrava addirittura di vederla, lì sulla banchina, al binario 19. Era lì, con le sue trecce tagliate, e sembrava cercasse il vagone, per salutarlo.
Era lì per dirgli che lei aveva capito tutto, che aveva sempre capito ogni cosa, ma che non l'aveva mai fatto vedere davanti alla mamma, e che adesso non era necessario che lui... 
Carlo si asciugò gli occhi: “Devo sforzarmi un po' di più: se proprio devo fantasticare, se davvero me la posso immaginare qui per me, almeno che lei abbia ancora le sue belle trecce nere...”
Chiuse gli occhi, ridendo tra sé di una simile sciocchezza, poi li riaprì, cercando la ragazza con gli occhi: ma Alice non c'era più.
Carlo rimase deluso per una frazione di secondo, ma poi vide che la ragazza era un po' pi avanti, senza trecce e chiusa in un giubbetto di jeans (“Giubbetto di Jeans? In Luglio, a Milano?”): e poi lei sembrava stesse davvero cercando una carrozza...
“Cosa ci fa qui? Non poteva sapere che io... Avevo detto che andavo al lavoro, loro non... Forse mi ha seguito! Ecco, sì: mi ha seguito, ed io non me ne sono accorto, e poi l'ho involontariamente seminata. Ed adesso mi sta cercando...”
Una strana euforia si stava diffondendo nel cuore dell'uomo.
Lui aveva deciso di suicidarsi per sua figlia, ma sua figlia era lì. In stazione. Sullo stesso treno che aveva deciso di prendere lui.
Che strana coincidenza! Era un segno.
E Carlo, per una volta nella vita, decise di non governare né ostacolare gli avvenimenti, ma di assecondarli: si appoggiò allo schienale della poltroncina di seconda classe, ed aspettò, attento, che qualcosa succedesse.
(segue)

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