domenica 4 luglio 2010

Incantesimo - primo

Primo Incantesimo


Esistono dei luoghi della memoria che ti restano a lungo nel cuore insieme alle sensazioni forti che in essi hai provato. A volte essi coincidono con luoghi fisici, dove hai vissuto, hai amato, hai giocato, hai desiderato qualcosa. A volte essi sono solo dei posti immaginari dove vorresti andare, che hai arredato delle sensazioni del momento in cui te li sei figurati.
Di altri posti ti resta solo in mente il nome, ma il motivo per il quale la tua memoria riserva ad essi dei bit può rimanere a lungo sconosciuto e poi inspiegabilmente venir fuori molti anni dopo.

Così fu per me con Chilham Castle, un castello enorme nel verde del Kent, che avevo visitato appena adolescente, durante un soggiorno in Inghilterra, in uno dei fine settimana che avevamo liberi dai corsi di inglese. Ricordo i prati, l’erba bagnata e le alte torri, ma nulla di così importante da giustificare il mistero ed il potere che questo castello ebbe a lungo su di me, nelle notti in cui sognavo di tornarvi e di girare avvolta solo in una camicia da notte trasparente, i capelli lunghi e sciolti a coprire gran parte del busto ed i piedi nudi, incuranti del freddo delle pietre e dell’erba che solcavo.

Fino ad una mattina di agosto. Avevo circa venticinque anni e vivevo da sola in un appartamento a Milano, quasi in centro. Avevo preferito prendere ferie nel mese di luglio, il più caldo per quella città, e lavorare in agosto, quando la maggior parte dei colleghi era in ferie e in ufficio si passava il tempo tra una bibita ghiacciata, un gelato e qualche ora tranquilla al computer. Il mio mestiere è quello di scrivere per un giornale, quindi passavo molto tempo al computer: in quegli anni facevo ricerche, le elaboravo, cercavo immagini, per dare vita ogni settimana ad un piccolo capolavoro di inutile cultura sulle storie dei castelli. Collaboravo per una rivista di turismo e i castelli provocavano la bava alla bocca di tanti turisti, soprattutto quando li si condiva con fantasmi e orrori.

Non so se fu una semplice coincidenza o se qualcuno davvero è lì che sta fermo ad osservare la tua vita, pronto ad ingarbugliarti i fili della vita almomento opportuno, ma i miei genitori mi avevano chiamato proprio il weekend precedente: volevano che sgomberassi la mia cameretta di adolescente, perchè stavano traslocando in un appartamento più piccolo, dove i miei ricordi non trovavano spazio. Rovistando tra i cassetti e le scatole accuratamente riposte nell’armadio molti anni prima, avevo trovato delle foto di quell’esperienza in Inghilterra, del mio soggiorno in Canterbury e della mia visita a quel castello del Kent. Chilham Castle. Poteva essere uno spunto interessante per il mio articolo e così mi piazzai al computer e digitai su Google le due semplici parole “Chilham Castle”.

Delle immagini che mi si presentarono di fronte in realtà nulla apparteneva ai miei ricordi. Io avevo in mente un prato enorme, dei merletti, ancora prati e i volti degli amici che avevo fotografato. Ciò che vedevo sul sito era assolutamente estraneo. Anche la storia del castello non mi diceva proprio nulla, a dispetto della mia voglia di ricordare qualcosa di quel passato che in fondo, almeno allora, non era poi così lontano, essendo trascorso solo un decennio.

Mi incaponii a cercare delle immagini e mi dimenticaii completamente del tempo che passava, finchè ad un certo punto il campanello della porta iniziò a squillare in modo insistente e mi resi conto di essere rimasta proprio sola in ufficio. Mi alzai un po’ contrariata per l’interruzione e andai alla porta. Senza pensarci su la aprii e mi trovai di fronte alla creatura più strana che io potessi mai immaginare di trovarmi di fronte.


Era alto forse non più di un metro, vestito con un buffo vestito rosso ed un cappello alla Peter Pan in testa, bruno ma molto carino di viso, con una carnagione scura ed un sorriso dai denti più bianchi che avessi mai visto. Mi sorrise in modo accattivante e mi sgaiattolò quasi tra le gambe, facendomi segno di chiudere la bocca e la porta, entrambe aperte.

Entrò come se conoscesse bene quel luogo e si andò a piazzare nel locale che usavamo come cucinotto, per avere un appoggio per preparare un caffè o farci una spaghettata di tanto in tanto, un po’ come avevo visto fare dalle grandi società americane alla Bloomberg. Si sedette su uno sgabello alto, non senza un po’ di fatica, e mi parlò con la voce più buffa che avessi mai sentito:
  • Allora, non c’è niente da mangiare qui? Ne ho fatta di strada per venire a prenderti!
Venire a prendermi? Davvero la mia capacità di comprensione superava ciò che avevo davanti ai miei occhi e così mi avvicinai timidamente a lui e gli chiesi:
  • Ma scusa, tu... chi sei?
  • Chi sono? Sono un gnomo, no?
Già, come se io ne vedessi ogni giorno di gnomi, al supermercato, in portineria, al cinema.
  • Uno gnomo? No, aspetta... gli gnomi sono creature da favola...
  • E non ti sembro una favola io? Sono davvero carino, dai... ammettilo.. metà delle gnome che conosco farebbero follie per una serata con me e tu che hai questo onore sei ancora lì impalata e non mi hai ancora baciato...
  • Baciato? No no no... aspetta, sto sognando... vero? Sto sognando...
  • Sì... sembro un sogno, vero? Ma sono vero, davanti a te... dai, ti senti fortunata, pupa?
Davvero non sapevo cosa fare. Muta davanti a lui, afferrai una sigaretta e nonostante avessi smesso oramai da mesi me l’accesi e tirai una boccata di nicotina fino in fondo, chiudendo gli occhi e sperando che al risveglio quel coso lì fosse sparito. Uno, due, tre! Cavolo, è ancora qui.... e adesso?
  • Hai finito di guardarmi come fossi un extraterrestre?
  • Scusa... ma non è cosa da tutti i giorni incontrare uno gnomo... io pensavo esistessero solo nelle favole...
  • E dalle con ‘ste favole. So’ veroooo come te lo devo dire? Che lingue conosci? Inglese, Francese, Spagnolo...?
  • No no, ti credo ti credo... certo faccio un po’ fatica... ma... che dovrei fare?
  • Due spaghetti?
  • Eh.... va bene, okay, ti preparo due spaghetti...
  • Vedo che cominci a ragionare...

(continua)

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