mercoledì 2 giugno 2010

Ultimo Risveglio

Ultimo Risveglio

Questo è un risveglio arrabbiato. Un risveglio arrabbiato di una donna impotente, che si rende conto di essere bloccata in una vita che non ha nulla di reale, a metà strada tra il puro pensiero ed il pensiero mediato da un corpo inerme. Di chi è merito questa follia? Chi l’ha pensata? Venga fuori il pazzo che è il regista di questa messa in scena, venga fuori con il cartello “Sei su scherzi a parte” e facciamola finita.

Davanti a me cosa ho visto – e già dire “ho visto” è una presa in giro per due occhi che si sono aggirati nella nebbia di colori malmostosi e incerti, su volti sfocati ancora di più che da diottrie perse durante la giovinezza? Cosa ho percepito se non lacrime, dolore e sofferenza? L’unica sensazione che mi è stata trasmessa dal tatto è stata quella di una lacrima. I soli suoni che ho ascoltato sono stati una sentenza di morte. L’odore che ha invaso le mie narici è stato, ora lo realizzo, quello di un disinfettante.

Questa è la vita che io dovrei continuare a fare ancora per quanto? Chi mi risponde? Dall’al di là o dall’al di qua c’è qualcuno che ha il coraggio di dirmelo? Immaginavo.. come al solito il vuoto assoluto, solo il mio pensiero. Mi sembra di essere la particella di sodio della pubblicità di un’acqua che si aggira da sola nella bottiglia e urla “C’è nessunooooo”. Adesso sono io che grido: IO CI SONO, ma nessuno mi ascolta, nè dall’impero dello spirito che dovrebbe essere onnipotente, onnipresente e onniveggente, nè dall’impero dei sensi, dove io non esisto più e sono solo una linea che fa beep-beep su un monito verde che mi controlla il respiro ed il battito del cuore.

Quando esistevo forse in alcuni momenti mi sentivo così sola, senza esserlo fisicamente. E’ vero, a volte la solitudine, questa solitudine dello spirito, questo sentirsi quasi-morti in un mondo di viventi che ti passano accanto e ti sfiorano, questa solitudine ti trovi a viverla anche nel mondo reale, ma è questione di un attimo, giusto il tempo di percepirla e ti illudi che non sia così. Qui la solitudine è la certezza, la certezza dell’essere in procinto di morire, senza nessuno che ti possa offrire un abbraccio, perchè per loro sei già in un mondo dove l’abbraccio non conta più nulla.

Sono già un ricordo per tutti quelli lì fuori. Paradossalmente sono un peso per loro. Che vita staranno facendo lì fuori? Da quanto tempo? Alzarsi la mattina pensando “stanotte l’ha superata...”, andare a lavorare con il cellulare bloccato in tasca “potrebbero chiamare dall’ospedale”, sussultare quando il cellulare squilla, trascinarsi dopo il lavoro in ospedale per passare un’ora? due ore? qui seduto a piangere, a pensare o a non pensare? Perchè se io non sto vivendo più, anche loro devono smettere di vivere?

Chi decide cosa è giusto e cosa no? Quale morale? La morale di chi è vivo ed è distante da chi non lo è più o sta vivendo in un barattolo d’ovatta senza sentire più nulla? Io voglio scegliere, anche se non sarà una scelta cristiana. Ma è un Dio cristiano quello che ti costringe a questa morte in vita? E’ degno di chiamarsi Dio? Non lo so. Lo scoprirò tra poco, forse.

Spengo la luce, dov’è l’interruttore?

Eccolo qui. Arrivederci a presto... mi piace pensare che sarà così!

***

Mia madre è morta. Era entrata in coma per una sciocca caduta sui pattini. Ha sbattuto contro una cancellata di ferro in un pomeriggio qualunque : trauma cranico. E’ rimasta in coma per dieci anni, con solo sei risvegli provati dai medici a fronte di variazioni sull’elettroencefalogramma. Il settimo le è stato fatale: i medici sostengono che abbia avuto un movimento involontario della mano sinistra, che ha causato il distacco del respiratore.

Non so se essere felice per lei o no. In questi lunghi anni nei quali mi sono accostato a lei ogni giorno, spesso, la maggior parte del tempo lei non c’era. Ma in altri momenti, pochi, io sentivo qualcosa di strano standole accanto, come se lei fosse presente e percepisse questo mondo intorno a lei e avesse voglia di comunicare, ma non sapesse come farlo. A volte mi sembrava di vedere i suoi occhi sotto le palpebre che si muovevano alla scoperta di qualcosa: i medici mi hanno sempre detto che quando si sogna è normale che gli occhi si muovano e quindi poteva essere una condizione non straordinaria nel suo stato. Io non ho mai creduto loro.

Dieci lunghi anni per morire. Non so... ho come la sensazione che in qualche modo non sia stato un caso l’incidente che è capitato. Non chiedetemi perchè: lo so è basta, perchè lei, lei era mia madre.

(fine)

5 commenti:

  1. Oggi c'è il sole.
    Ma questo finale l'ha appannato: non so per quanto sarà così, ma un velo di tristezza è calato sul giorno.
    Bello, White Peacock, sembra quasi di averlo vissuto. E pensare che l'hai scritto tu è inquietante.
    Brava.

    RispondiElimina
  2. Un crescendo di inquietudine, queste sei... mi correggo, sette parti.
    Non un inquietudine da film horror, ma inquietudine da "E se...". La adoro.
    Complimenti.

    RispondiElimina
  3. bello, intenso e mi verrebbe..."alto"...mi lascia una malinconia nel cuore e qualche lacrima che finisce irrimediabilmente sui tasti da cui scrivo...

    RispondiElimina
  4. bella l'immagine della lacrima sui tasti, Kara...

    RispondiElimina