martedì 22 giugno 2010

Qualcosa di azzurro - Domenica Pomeriggio

Domenica pomeriggio


Questa è la mia camera e questa sono io.
Mi chiamo Stella, ho quindici anni e sto per fare la telefonata più importante della mia vita.
Frequento il secondo liceo linguistico. Non importa nè in quale città io mi trovi, nè se sono bella o brutta, alta o magra, stupida o intelligente. Non importa se ho un padre ricco, una madre che lavora, un fratello o una sorella. Quello che importa è che sono chiusa in camera mia in questo momento, ho una sigaretta in mano, spenta, e sto giocando con il mio cellulare. Chiamo? Non chiamo?
Sei curioso, vero? Sei curioso di sapere a chi sto per telefonare, ma non so se te lo dirò. Ho meditato su questa telefonata a lungo, per settimane, chiedendomi se faccio bene o se posso evitarlo. Alla fine ho deciso che male non fa: se non ne ricaverò nulla, andrò avanti a fare quello che ho deciso di fare, probabilmente con molta più convinzione di quanta io ne abbia ora; se sarà un successo, allora ne sarà valsa la pena.



Scrivo da almeno due anni. Ogni sera. Dopo cena, dopo aver fatto finta di cenare ed apprezzare ciò che mia madre si affanna a cucinare ogni giorno, mi chiudo in camera, sbattendo fuori tutto ciò che di estraneo ho intorno: la mia famiglia. Il rito ogni sera è il seguente: “Stella, vieni a cenare”, “Stella, come è andata a scuola?”, “Stella hai visto i tuoi amici?”, “Stella, ci sono novità?”. Domande. Vuote. Le domande dei miei genitori, domande di rito che mi fanno senza nemmeno aspettare una risposta. Si vede che in testa hanno in mente altro e non mi interessa nemmeno approfondire che cosa, visto che la cosa importante è che non hanno in mente me, che sono figlia loro. Forse non hanno in mente nemmeno se stessi, dato che tra di loro c’è un muro più duro di quello di Berlino, dove più che piangere bisognerebbe ridere, vedendo la loro stupidità di tenere in piedi un matrimonio solo per i figli. Ma quali figli? Quelli che non vedi nemmeno a cena? Quelli ai quali fai domande per le quali non aspetti nemmeno la risposta? Sì, ridere. A crepapelle.
Faccio finta di mangiare. Spilucco qualcosa e poi mi precipito in bagno. A fare cosa? A vomitare no? Due dita in gola, spingendo proprio in fondo, premendo un po’ sulla lingua e pensando a qualcosa di terribilmente sgradevole che possa provocare un conato di vomito. Ti si incastrano i muscoli interni nelle costole dallo sforzo, la faccia diventa rossa, le vene della fronte compaiono, gli occhi lacrimano. Quando ho finito lavo i denti, lavo la faccia, lavo per terra le macchie di cibo ancora intero e me ne vado in camera, chiudendo a chiave la porta perchè nessuno possa rompermi le scatole.


Quando ero piccola componevo un diario di frasi e ritagli di giornali. Rileggendoli oggi mi viene da sorridere al pensare di quanto forti possano essere i sentimenti di una ragazzina. Da adulto, da adolescente non ci credi più, è facile dimenticarlo. Ma rileggendo quelle pagine mi viene in mente la condizione psicologica ed emotiva esatta di quando le avevo scritte e mi rendo conto che in fondo i sentimenti non cambiano con l’età, ti spezzano il cuore lo stesso, perchè sono comunque più grandi del cuore che hai.


Poi un anno fa la svolta. Perchè ritagliare frasi non era più sufficiente ad esprimere quello che provavo e non sempre trovavo le parole giuste per tirar fuori quello che dentro non ci stava più. Così iniziai a scrivere. L’occasione fu un giro in centro dopo la scuola e una visita in cartoleria per vedere una penna che mi aveva attratto in vetrina. Vidi questo quaderno antico con la copertina nera e l’elastico. Un quaderno di quelli che usava il mio bisnonno per scrivere i suoi appunti della guerra. Mi dissi “Stella, anche tu puoi scrivere qualche appunto” e lo comprai con i soldi che mia madre mi aveva dato per il pranzo. Quaderno e penna: se devo fare qualcosa di nuovo, che sia ben augurante farlo con strumenti nuovi! Cominciai subito, su una panchina nel parco di fronte la scuola. Rimasi lì tre ore, fino alle cinque, quando mia madre mi chiamò preoccupata perchè non sapeva dove fossi. Da allora ne ho comprati uno al mese e ho già una scatola piena che nascondo sotto il letto, in una piccola cassaforte. Con il lucchetto, perchè mia madre è molto curiosa.


Adesso ho finito di scrivere. Dovrei fare questa telefonata. Pochi numeri che potrebbero cambiarmi la vita, ma non ne ho il coraggio, perchè in fondo non so cosa desiderare...

(continua)

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