martedì 8 giugno 2010

La Zingara - Ultimo Vagone

Ultimo Vagone


Ero stanca. Erano quasi le undici meno venti. Avevo avuto una giornata particolarmente lunga e intensa, ricca di emozioni forti come non provavo da tempo. Ero frustrata per la mia impotenza di rispondere alla chiamata di Airis, ero fisicamente spossata dall’aver camminato a lungo con Airis in braccio, per non svegliarla, dopo che più di un vigile mi era passato accanto mentre riposavamo sulla scalinata del Duomo e tra un po’ avrei perso quei trenta chili di cucciola che mi portavo in spalla lungo Corso Vittorio Emanuele, verso Piazza San Carlo.


Esiste un dio? Io credo di sì, ma credo anche che in questi momenti lui sia distratto pensando ad altro. Devo pensarla così, perchè un dio che ama i bambini non li abbandona al loro destino in questo modo, nei vicoli di una metropoli o sui sedili di un vagone dove sbattono da un lato e dall’altro con la testa finchè qualcuno non li sveglia e li caccia via quando la metropolitana chiude al pubblico.


Io non conosco il mondo zigano. Per me è da un lato la magia dei violini, del vivere senza mai fermarsi più di tanto in un solo posto e dall’altro le donne sporche, con i capelli unti e le gonne a balze lunghe fino ai piedi, quelle che mi fanno portare d’istinto ad afferrare la mano dei miei bambini quando siamo in giro o a prendere la borsa saldamente sui manici, spingendola con il gomito verso il petto, come mi aveva insegnato mia zia che insegnava a Bari “vecchio”. Già, perchè hai ragione tu, Airis, io come molti ho sempre pensato che gli zingari siano sporchi, rubino e rapiscano i bambini.


Continuavo a camminare con la pelle che traspirava di sudore in una nottata di fine estate dove non c’era nemmeno un po’ di brezza pietosa a sollevare la mia fatica. I capelli di Airis sciolti mi si intrecciavano sul naso, sulla bocca e sulle spalle. Volevo fermarglieli con un elastico, ma sembrava che il suo si fosse perso lungo la strada. Le sue braccia erano sulle mie spalle, come morte e non riuscivo a vedere nemmeno il suo viso, pigiato contro il mio collo, ma ne sentivo il respiro accaldato e regolare. Le mie gambe iniziavano a cedere, ma io continuavo a camminare: dovevo riportarla a sua madre.


Erano le undici meno cinque quando arrivai in Piazzetta. C’erano ancora fuori alcuni tavolini del bar a sinistra della chiesa ed un cameriere che serviva alcuni stranieri. Chiesi se potevo appoggiarmi un attimo ed avere un bicchiere d’acqua. Il cameriere mi guardò storto e mentre diceva “Prego” scriveva su un biglietto l’ordinazione e me lo metteva sul tavolo. 6 Euro. Ladri, approfittatori. Dare da bere agli assetati, diceva Gesù, ma intendeva gratis. Pagai e mi sedetti ad aspettare. Passarono circa dieci minuti. Nonostante il tempo lo permettesse, non c’era molta gente in giro. Evidentemente molti erano ancora fuori Milano e quei pochi che c’erano erano da qualche parte a godersi l’aria condizionata.


La vidi sbirciare da dietro una colonna. La vidi con la coda dell’occhio, senza rendermi conto che guardava me. Poi il suo sguardo si fece più insistente e il suo interesse verso di noi sempre più evidente. Avanzò verso di me ed io mi alzai. Uno specchio. Uno specchio non avrebbe potuto riflettere la mia immagine senza Airis in braccio e con altri vestiti, ma lei sì. Era la mia immagine smossa dal tempo, che rifletteva i miei trent’anni. I capelli un po’ più lunghi forse rispetto a come li portavo io allora e la pancia gonfia del quinto mese di gravidanza, ma per il resto eravamo due gocce d’acqua. Airis non aveva mentito.
Mi prese Airis dalle braccia, sentendo e forzando la mia resistenza e si sedette.


“Grazie. Volevo dirle che non l’ho abbandonata. L’ho persa di vista quando la Polizia mi ha fermato per un controllo stamattina. Allora sono andata al campo da suo padre per cercarla e gli ho confessato che lei è figlia del mio nuovo compagno. Ho dovuto dirglielo per portarla via dal campo. Lei non ci vuole stare ed ha ragione”
“Lo so” dissi “me lo ha raccontato. Dove la porterà adesso?”
“Abbiamo una casa, un appartamento. Il mio compagno lavora e da settimana prossima ho trovato anche io lavoro. Airis andrà a scuola. Le piace molto studiare.”
“Sì, mi ha detto anche questo”
“Grazie davvero. Mi aveva parlato tante volte di una signora che mi somigliava moltissimo, ma non le avevo creduto. Invece aveva ragione...Beh, ora devo andare, il mio compagno mi aspetta qui dietro... Non so davvero come ringraziarla...”
“Posso farle una domanda?”
“Certo.”
“Airis non corre pericolo? Mi ha detto che suo padre... insomma, lei ha paura...”
“Stia tranquilla. Io sono stata bandita dalla comunità ed ora che ho confessato la reale paternità, Airis può stare con me: non la vogliono più al campo. Ho parlato ieri con un’assistente sociale. Ci aiuterà i primi tempi...”
“Bene... allora... me la saluti quando si sveglia e... ne abbia cura” dissi con le tonsille che fuoriuscivano dalla bocca per la commozione e la lingua che le ributtava indietro per non tradire l’emozione che provavo.
“Naturalmente... Arrivederci”
“Arrivederci” dissi, accarezzando la testa di Airis e lei come per incanto proprio in quel momento aprì i suoi occhioni verdi e mi sorrise. “Ciao Airis” le dissi “hai visto che la tua mamma è tornata e ti porta con sè?”
“Sì... e tu hai visto che avevo ragione stamattina?”
“Shhh quello sarà il nostro segreto, ok?...”


Le sorrisi, le diedi un bacio sulla guancia e mi girai per andare verso il metrò. Frugai nella borsa per prendere un biglietto e nella taschina dove infilai le dita sentii qualcosa di sottile e duro. Lo tirai fuori e con sorpresa scoprii che era il mio braccialetto, lo stesso che Airis mi aveva sottratto la mattina.


Alla bellezza si perdona tutto, vero piccola impertinente gagé?

(Fine)

3 commenti:

  1. Sembra vissuto veramente, come sa tu avessi conosciuta sul serio.
    Anche il nome: ha una strana palindromia.
    Hai una penna splendida, complimenti. Ho passato le mattine a verificare le nuove pubblicazioni (e a volte un controllino anche alla sera...).
    Peccato che i vagoni della metro siano solo... 7!

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  2. Davvero bello. Forse vissuto da te, ma sicuramente fatto vivere agli altri.
    Confermo: non ci sono altri vagoni?

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  3. Non ce ne sono più... ma si può cambiare treno :-)

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