Sesto Vagone
Prendemmo il metrò e scendemmo a San Babila. Girammo a destra dell’edicola e seguimmo il corridoio verso l’uscita di Corso Vittorio Emanuele. Salimmo su in superficie e facemmo un breve tratto a piedi fino a Piazza San Carlo. Seguivo Airis in silenzio. Dopo la chiacchierata che avevamo fatto non mi aveva più rivolto la parola e sarebbe stato difficile dire chi di noi due era più ferita, se lei per quella risposta incerta che sembrava un No o io per essermi arresa alla mia impotenza. Iniziò a gironzolare davanti alla vetrina della Walt Disney come una bambina qualunque, tirandomi dietro sè con la sua manina. Agli occhi del mondo eravamo una madre ed una figlia; ai miei occhi solo due mondi alla disperata ricerca di un punto dove ritrovarsi.
La seguivo svogliata, sentendo dentro di me che non volevo lasciarla. E’ davvero strano come tra due persone un attimo prima sconosciute si possa creare un rapporto così intenso. Non capivo come dalla mattina alla sera io potessi essermi affezionata così tanto a quella bambina, dal desiderare di restarle accanto per esserle come una madre. Non capivo cosa in lei si era così profondamente abbarbicato in me, da temere che il perderla avrebbe potuto sradicarmi una parte del cuore.
Poi Airis si fermò e mi chiese che ore fossero. Erano le nove e dieci.
“Non viene nessuno.”
“Ma non era al metrò l’appuntamento?”
“Alle nove a San Babila non vuol dire che l’appuntamento è al metrò”
“Boh.. mi era sembrato di capire così, ma fa nulla. E quindi?”
“E quindi se tu devi andare vai. Io sto qui fino alle undici”
“Non puoi stare da sola Airis”
“Io posso”
“Airis, sei una ragazzina. Non posso lasciarti qui ad aspettare da sola. Sto con te”
“Non devi tornare a casa?”
“Non mi aspetta nessuno”
“E tuo marito?”
“Lavora fuori Milano dal lunedì al venerdì, non ti preoccupare”.
Quasi avesse sentito di essere chiamato in causa, mio marito mi chiamò sul cellulare. Cominciò a farmi una sfilza di domande su dove fossi e con chi fossi, cosa facessi a San Babila a quell’ora, invece di essere a casa. Mi sentivo in trappola, mi sentivo come fossi un’adultera colta in flagrante nel letto dell’amante, seviziata con mille domande alle quali all’improvviso decisi di non rispondere più, facendo semplicemente cadere la linea del telefono e spegnendolo subito dopo. Non potevo permettere a nessuno di intromettersi nel mio rapporto con Airis e questa era la cosa che più mi lasciò sconvolta, nello stesso momento in cui ne ebbi coscienza.
“Hai litigato con lui per causa mia?”
“No, ho litigato perchè è stronzo e basta”
“Ti ho sentito, non mentirmi”
“E va bene Airis, non capisce perchè io sia qui con te o forse semplicemente non ci crede che io sia con una ragazzina in giro a quest’ora. Del resto, ammettilo, è un po’ improbabile.. Sembra una scusa bella e buona, non ha tutti i torti...”
“E tu perchè sei qui con me?”
“Perchè non posso lasciare una ragazzina tutta sola fino alle undici in San Babila”
“Perchè no?”
“Perchè c’è in giro un mucchio di gente strana, non lo sai?”
“Io lo so. Ma tu hai paura che gli zingari mi rapiscono? Non raccontate queste cose voi gagé? Gli zingari rapiscono i bambini... beh, puoi stare tranquilla, io sono una zingara, ricordi? E ti ho rubato un braccialetto... gli zingari rubano e rapiscono anche i bambini...”
“Airis per favore...”
“Scusa...”
“Che facciamo piuttosto? Dove vuoi andare?”
“Sono stanca. Voglio sedermi”
“Anche io, ma non so dove andare. Ti porterei a casa mia ma non ce la facciamo a tornare per le undici”
“E allora non ci torniamo. Veniamo qui domani, ah ah!”
“Airis, per favore. Ne abbiamo già parlato. Se tua madre o tua zia non ti trovano non pensi che si preoccupino per te?”
“Non gliene importa nulla di me, sono un problema e basta. Per loro e per te.”
“Mm, mi fai incavolare quando parli così. Vieni, andiamo al Duomo, lì non se ne accorge nessuno se ti metti a sedere sui gradini. Stiamo un po’ lì e poi al limite ce ne andiamo in un bar.”
“Ho sonno.”
“Beh non so se riuscirai a dormire... dovremo arrangiarci.”
Andammo così verso il Duomo e ci sedemmo sulla scalinata davanti all’ingresso, di spalle a Palazzo Reale. Airis era davvero stanca e si addormentò appena ebbe appoggiato la testa sulle mie gambe. Rimasi lì a guardarla. La sua bellezza non le aveva concesso una vita migliore, nè l’aveva ripagata del dolore verso una madre che l’aveva rinnegata proprio nel momento in cui lei aveva avuto bisogno di un appoggio sicuro. Le era crollato il mondo addosso, ma lei aveva reagito con la sfrontatezza che solo la sua età poteva regalarle. Quella piccola zingarella aveva una forza dentro che la maggior parte delle ragazzine gagé poteva solo scordarsi. Sorrisi, stavo incominciando a parlare come Airis...
(continua)
Un cappello pieno di ciliege, di Oriana Fallaci
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Avevo iniziato a leggere questo libro molti anni fa e non ero riuscita a
superare le prime dieci pagine. Adesso, forse complice un’età più avanzata
e un...
5 mesi fa
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