venerdì 26 novembre 2010

Mille volte amore - Angelica - Seconda parte


Fu così che cominciammo a parlare. O meglio: lui parlava, io lo guardavo. Era davvero bello, più di quanto avessi potuto vedere tutte le volte che lo avevo incrociato uscendo dagli spogliatoi. Nonostante gli occhi trasparenti, essi erano profondi e ti penetravano dentro l’anima. Mi perdevo nella sua bocca, mentre parlava. Scrutavo le sue labbra carnose che si muovevano, le piccole pieghe che si formavano mentre sorrideva ed i denti bianchi che apparivano all’improvviso ad abbagliarmi. Sì, era affascinante e mi stava raccontando la sua vita da mezz’ora come un confessore... faceva l’architetto e si era messo a raccontarmi della casa che stava costruendo per un ricco imprenditore di Milano. Era divertente, era bello...


All’improvviso si fermò e mi disse:
-         Anche tua figlia fa due ore di nuoto?
-         Sì,  perchè?
-         Beh... conosco un baretto qui vicino, un posto tranquillo... magari possiamo andare a bere qualcosa... che ne pensi?

Sì, l’idea mi andava... ma sentivo una nota stonata che non capivo... forse non dovevo accettare? Forse era anche il suo un tentativo di abbordaggio un po’ meno goffo di quello che mi aveva coinvolto prima? Decisi di non pensarci. In fondo andavamo solo in un baretto a bere qualcosa, tutto qui.
-         Va bene... però non stiamo via molto...
-         Beh, le ragazze finiscono tra un’ora e noi saremo qui a recuperarle come al solito, tranquilla!
-         Sai... non vorrei farti fare tardi una volta che puoi essere puntuale...
-         Come lo sai?
-         Ti vedo sempre... arrivi affannato e tua figlia ti rimprovera del ritardo...
-         Già... anche se lavoro qui vicino non riesco mai ad organizzarmi per tempo... mm, però vuol dire che anche tu mi avevi notato...
-         “Anche”?

Non rispose. Fece strada verso l’uscita, mi aprì la porta gentilmente e andammo verso il parcheggio. Aveva una moto, cosa che non mi aspettavo, ma ringraziai il cielo che quel giorno mi ero messa i jeans. Mi diede un casco e mi invitò a sedermi dietro di lui.

Mi sentivo un po’ imbranata. Non sapevo dove fermare le mani e poichè non trovavo nessun appiglio e le muovevo un po’ in su e in giù, ad un certo punto lui le prese una per volta e se le portò intorno alla vita.

Sentivo la salivazione aumentare, il ritmo del cuore accelerare ed una energia spandersi lungo il mio corpo. Era una sensazione che da tempo non provavo e che mi rendeva felice, anche se la nota stonata ancora rompeva l’armonia di quel momento, pur non sapendola definire bene.

Si fermò davanti ad un piccolo bar. Non era in centro. Era un bar di quelli che devi conoscere bene per andarci, di quelli che non trovi per caso passeggiando per il paese. Aveva un parcheggio all’ombra, un po’ nascosto alla vista e lì il mio accompagnatore si fermò. Scesi dalla moto e aspettai che lui la sistemasse sul marciapiede, mettesse i caschi a posto e chiudesse le varie serrature.
-         Vieni, è carino qui, vedrai.

Il bar aveva un grande bancone al centro, dove si ergeva impettito quello che credo fosse il proprietario, un uomo sui quarantacinque anni, un po’ brizzolato e con due occhi che definirei “curiosi”, di quelli che ti inquadrano per cercare di carpire chi sei a prima vista. Era in piedi ad asciugare bicchieri, tazzine e piattini, che sistemava poi accuratamente sullo scaffale alle sue spalle, pronti per una nuova ordinazione. Ne aveva lì un po’. Si guardava un po’ in giro, anzi, ebbi l’impressione che guardasse i suoi avventori, con l’aria fintamente distratta, come se volesse ostentare discrezione. Non so perchè, ma il suo sguardo mi imbarazzò un po’ e fu per me istintivo nascondermi dietro il mio ospite, quasi come se fossi stata colta in fallo.

-         Salve!
-         Buonasera. Un tavolo per due? – disse l’uomo scendendo dal bancone per farci strada nel suo locale. Aveva un bel sorriso, di quelli aperti e sinceri, che ti abbracciano e ti fanno sentire a casa, al sicuro.

Anche il locale era molto particolare, con tanti separé, di colori diversi. L’angelo mi chiese dove volessi sedermi e scelsi d’istinto il separé azzurro, un po’ lontano dalla porta. L’uomo guardò prima me, poi il mio ospite. Ci fece cenno di sederci e ci chiese cosa gradivamo. Il mio ospite ordinò un caffè. Io continuavo a scorrere la lista senza sapere cosa scegliere ed alla fine chiesi il mio solito the verde. Il proprietario non si stupì, come invece mi accade in molti altri locali.

-         Sai che non mi hai detto come ti chiami? – mi chiese l’angelo
-         Angelica – risposi
-         Mm... che bel nome... particolare... direi che ti sta bene...
-         Ma no, dai... sembro una strega a volte  - commentai e poi continuai: - E tu?
-         Simone... ti piace qui?
-         Sì, è carino... molto intimo... non lo conoscevo questo posto, ma è aperto da tanto?
-         Non saprei... ci vengo ogni tanto. E’ discreto, non c’è gente strana... sai non è un posto di passaggio... ci vieni se sai che è qui...
-         Buffo.. la stessa cosa che ho pensato io quando siamo arrivati...
Un piccolo momento di imbarazzo. Mi guardavo in giro, non sapevo come continuare. Improvvisamente mi sembrò che Simone volesse corteggiarmi ed io semplicemente non ero preparata. Non uscivo da otto anni con un uomo. L’ultimo con il quale ero uscita era il padre di Azzurra e non lo vedevo da quella notte nella quale avevamo fatto l’amore. Non avevo voluto cercarlo e lui non si era fatto vivo, così avevo pensato che in fondo se non gli interessavo io non gli sarebbe interessato nemmeno di Azzurra.

Avevo odiato gli uomini per anni. Non ero mai riuscita ad avvicinarmi a loro. Era ancora così, anche se negli ultimi tempi avevo iniziato ad uscire con qualche amico dell’università, uno di quelli con i quali sai di essere al sicuro, perchè hanno solo lo studio in testa.

(continua)

3 commenti:

  1. "ringraziai il cielo che quel giorno mi ero messa i jeans"
    Hahahahaha!

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  2. Bello il barista! Mi par di conoscerlo... :DDD

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  3. "avevo odiato gli uomini per anni"....eh, come la capisco!!!

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