giovedì 28 ottobre 2010

Alice - Capitolo 6

Carlo guardò di nuovo l’orologio che aveva al polso: 9.45. Il treno era partito qualche minuto prima. Da lì a cinque minuti, forse dieci, il treno avrebbe guadagnato abbastanza velocità e… puf.
Niente più litigate con Gabri, niente più lavori elemosinati dove capita, niente più pianti di notte nel bagno, per non farsi sentire, a causa di quella vita che sapeva non essere quella sperata. L’unica cosa che lo aveva portato avanti, e per la quale era disposto a morire, era seduta poco più indietro, quasi a fargli vedere che, nonostante tutto, lei sarebbe rimasta con lui fino alla fine.
Istintivamente prese un'altra sigaretta dal pacchetto che teneva nella tasca della camicia, ma si accorse che era l’ultima rimasta. Se quella che aveva fumato poco prima era l’ultimo desiderio di un condannato a morte, quella doveva essere parte del suo abbigliamento da funerale, quando avrebbero ritrovato il suo corpo.
Sistemò con cura la Rothmans nel contenitore a si mise comodo sul sedile. Se quello doveva essere l’ultimo viaggio, voleva che fosse almeno comodo!
Sentì sobbalzare il treno, segno che aveva superato il primo scambio, e il suo cuore ebbe un sussulto: era l’ora.
Aveva già programmato tutto: per evitare la possibilità di qualche “eroe” che avrebbe tentato di fermarlo, voleva aspettare nel bagno posto alla fine della carrozza, e da quella finestra sarebbe saltato. Si alzò con calma, si avvicinò alla porta del bagno ma notò che era occupata: neanche quando uno deve morire le cose vanno come programmato!
Mentre aspettava con manifesta disapprovazione che il bagno si liberasse, sentì vibrare la tasca in cui aveva il cellulare. Stizzito, lo prese e vide che aveva ricevuto un messaggio.
Lesse il mittente: Gabri. Sorpreso ed incuriosito, lesse il contenuto dell’SMS.
Il suo cuore mancò un paio di battiti.
Ormai nemmeno i superalcolici la facevano dormire per un po’: l’unico effetto che ricavava dall’attaccarsi al collo della bottiglia era il sempre più probabile coma etilico. Lì sì che avrebbe dormito, ma non voleva che qualcuno potesse ritrovarla prima che il suo cuore abbia smesso di battere. Per questo valutò l’ipotesi di buttarsi giù dal tetto, ma non voleva causare troppi traumi a chi l’avesse trovata. Perciò aveva scelto il metodo che, a quanto pare, aveva preferito Marilyn: semplici sonniferi. Assunti in dosi massicce, l’avrebbero fatta dormire quanto bastava, ovvero per sempre.
Mentre preparava le pillole e il bicchiere di gin col quale avrebbe detto addio a questa vita, pensò che almeno a Carlo avrebbe dovuto dirlo. Era stato un marito esemplare, nonostante lei non lo volesse accettare: se lui era importante nella famiglia, lei non era nessuno!
Prese il cellulare e scrisse un breve messaggio: “Sto per andarmene. Per sempre.”, dopodiché premette invio.
Una volta assicuratasi che il messaggio fosse partito, si avvicinò al tavolo dove c’era il bicchiere di gin e la ventina di pillole.
Era l’ora.
Alice era chiusa in bagno a piangere. Piangeva perché non sapeva cosa fare, cosa stava facendo, dove stava andando. E voleva avere i suoi genitori lì accanto, in modo da poter avere una spalla su cui piangere.
Sapeva però che una volta prese decisioni del genere non si poteva tornare indietro.
Asciugò le ultime lacrime e si guardò nello specchio presente nel piccolo bagno del treno. Che cosa era diventata? Una donna? Una ribelle? No: era semplicemente il suo vero “io” che spuntava fuori. Un “io” pieno di tristezza, di malinconia, di rabbia e, perché no, di gioia. Gioia di poter finalmente fare quello che aveva sempre voluto fare, dire addio a tutto ciò che conosceva per incominciare una nuova vita, quella vita che aveva sempre sognato ma che, per lei, era irrealizzabile: una vita felice.
Si sistemò una ciocca dei capelli e aprì la porta. Uscendo, sbatté contro l’uomo che stava aspettando il suo turno: -Mi scusi, non… papà?-
Carlo era ancora attonito dalle parole che aveva appena letto sul suo cellulare: non poteva essere… Non voleva credere a ciò che suo moglie, la sua adorata moglie voleva fare eppure le parole lapidarie erano lì, nel palmo della sua mano. Era talmente scosso che sentì qualcuno dire qualcosa e poi sentirsi abbracciare: -Ma che…- riuscì solo a dire prima di riconoscere in Alice la ragazza che la stava abbracciando
-Alice? Ma sei proprio tu?- chiese stupefatto
-Sì papà, sono io… scusa se sono andata via, non lo farò più, te lo prometto!- sentì dire dalla ragazza che singhiozzava stretta intorno alla sua vita
-Shhh… stai tranquilla,tesoro. Ci sono qua io, ora- disse cercando di tranquillizzare la figlia. Mentre la stingeva a sé per farle smettere i singhiozzi, Carlo cercava di capire cosa fare in quel momento: sua moglie era probabilmente in procinto di suicidarsi, lui, che aveva il medesimo piano, aveva incontrato sua figlia che era scappata di casa sullo stesso treno da cui aveva deciso di buttarsi…
-Cosa facciamo ora, papà?- chiese con le lacrime agli occhi Alice.

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